Quanto pianto … ma quanta crescita nella fede

 

Lutto dal latino luctus uguale pianto

Quanto pianto mi ha portato questo pianto …

Sono trascorsi quattro anni e non ho ancora finito di piangere.

La vita stessa inizia con un pianto, l’ostetrica una sculacciata ed è fatta e tu piangi alla vita, soltanto un attimo prima eri nel ventre della mamma felice e beato ……

…. e se vivrai in grazia di Dio tornerai felice e beato.

Pensiamoci.

Anche il pianto del lutto è una nascita a nuova vita, un pianto che provoca disorientamento, ci si sente proiettati in un’altra dimensione, viene strappata la propria realtà abituale, è un insieme di sensazioni negative, si forma una frattura fra passato e presente e si crea un’ombra sul futuro. Un futuro percepito come incerto e angoscioso.

 

Ed è in questo rimescolamento di solitudine, di disperazione e di vuoto che si riducono le energie.

A me, come penso a tanti di voi, è successo tutto questo.

Nelle ultime settimane di vita terrena di Paolo mio marito, la mia famiglia d’origine mi è stata molto vicina, giorno e notte non ci hanno mai lasciato soli, e per questo li ringrazio, ma mentre Paolo ci stava lasciando, il caso fortuito, ha voluto che fossimo soli a salutarlo, soli ma tutti e 5: io Paolo e i nostri 3 figli.

La nostra Famiglia. Famiglia maiuscolo.

 Ricordo perfettamente come fosse ora, il momento in cui mi sono girata verso i nostri ragazzi, le parole e il tono austero rivolte loro, subito dopo l’ultimo respiro di Paolo: “allora ragazzi ora salutiamo il papà, ma adesso dobbiamo fare i bravi perché dobbiamo ritrovarci tutti lassù e sono sicura che lui ci sta già aspettando”

Quel “Dobbiamo fare i bravi”, uscitomi spontaneamente, ma forse no, forse frutto dei pensieri e delle preghiere degli ultimi mesi, era la chiave alla quale aggrapparci per dare sollievo al nostro pianto.

Struggente averlo perso, ma l’idea che tutto potesse finire lì in quel momento, sarebbe stato troppo, un’ulteriore sofferenza che non avrei sopportato e della quale, inconsciamente, rifiutavo anche il solo pensiero.

 

Infatti già dai primi momenti aveva preso forma la speranza di ritrovarlo, di dover fare tutto il possibile per raggiungere il mio compagno di vita.

Si!!! idea che avevo da subito fatta mia, ma che il dolore e lo stordimento dei primi mesi avevano annebbiato. Annebbiato, ma non abbandonato, anzi stava lavorando come un tarlo, nascosto fino a che non è arrivato il momento giusto per stanare.
Infatti i primi 10 mesi, piombata in una condizione di angoscia totale, ero priva di energia fisica e psichica, poi un giorno all’improvviso, una reazione … è bastato un evento casuale per scuotermi dall’apatia, per chiedermi: cosa sto facendo? dove sto andando? o meglio… cosa non sto facendo? dove non sto andando? Di certo non posso diventare un peso per i miei figli.

Ed ecco che mi sono scrollata dal torpore, ho rimesso in circolo le energie necessarie al mio nuovo progetto di vita, la mia nuova vita senza Paolo ma finalizzata a raggiungerlo e questa volta ritrovarlo per sempre, per l’eternità.

Nelle mie giornate non devo preparargli i pasti, lavargli e stirargli camicie, ma il mio impegno in ciò che faccio è pur sempre finalizzato a lui, a noi, al nostro futuro.

Progetto bellissimo, che sa darmi pace e serenità, non mi leva il pianto,

… questo no!!! ma ha un dono grandissimo: la consapevolezza che il mio pianto finirà, alla fine dei miei giorni su questa terra, ma per trasformarsi per sempre e soltanto in gioia.

A questo progetto ha contribuito anche Fra Roberto di Bose, durante il pellegrinaggio con voi, non ricordo il suo ragionamento, ma so che ad un certo punto ho pensato: ecco perché il Signore mi ha lasciato ancora qui, sarà perché ho ancora tanto cammino da fare per guadagnarmi la salvezza.

Stavo realizzando che era iniziato il mio cammino verso il Signore, il mio cammino di vita vera. E come nella parabola: il granello di senape che mi abita, stava trovando il suo terreno fertile.

Sono cresciuta in una famiglia cattolica e praticante, ma quando come me e come spesso accade, quando vivi la tua Religiosità nell’abitudine, è nei momenti di grande dolore che ti rendi conto di quanta radice abbia la tua fede.

Dapprima la mia misera umana natura, era attratta dalla necessità di un approfondimento spirituale, spinta soltanto dalla speranza di ritrovare mio marito.

Andavo in Chiesa appena potevo, desideravo andare, ma non in tutte le Chiese, andavo in quella Chiesa, la mia parrocchia, semplicemente perché era lì che le spoglie di Paolo erano rimaste con noi per l’ultima volta.

Andavo per lui, mi sentivo più vicina a lui.

Con il tempo ho capito che la chiamata era un’altra, era il Nostro Signore che stava posando il suo sguardo su di me e con la Sua pazienza mi stava accogliendo.

Durante questo cammino mi ha affidato alla Nostra Mamma S. Maria, che ha saputo insegnarmi che amarla non è poesia, è saper vivere (come diceva Papa Francesco pochi giorni fa)

Maria è colei che ha vissuto in intensità unica l’Amore con Gesù.

Maria che sa come guidarci e sussurrarci parole convincenti, mi ha fatto conoscere la realtà dell’amore fraterno al di là del legame di sangue e per questo ringrazio infinitamente i Nostri Santi Padri dell’Ordine Terziario dei Servi Di Maria, al quale appartengo.

Ora so che il Signore mi sta trattenendo nel Suo abbraccio per ridarmi vita e serenità; Il Suo abbraccio di vita eterna che sarà nell’amore, con lui e con tutti i miei cari che mi hanno preceduto e con loro, se Dio vorrà, rimarrò in attesa che mi raggiungano tutti quelli che amo…….

Voglio concludere dicendo: so bene che è molto difficile per chi come noi sta vivendo un lutto importante, ma nelle avversità cerchiamo di non chiuderci, impegniamoci a cogliere le provocazioni anche se dolorose, facendone un tesoro di crescita.

 “Credo, crediamo nella vita eterna”

D.

Incontro del 7/02/2018