‘La Famiglia: soggetto e destinataria della evangelizzazione’
Annamaria Salve, siamo Luca ed Annamaria della Parrocchia di Gesù Redentore; ci siamo conosciuti la sera dell’ultimo dell’anno ’84 siamo stati 5 anni fidanzati e quest’anno festeggeremo 25 anni di matrimonio. Abbiamo tre figli che oggi hanno 23, 19 e 17 anni..
Luca.
I miei genitori vivevano una fede semplice che li portava a ricorrere a Dio nel momento del bisogno. Questo diventò anche il mio modo di relazionarmi con Dio.
Volevo bene al mio parroco; era molto accogliente e dinamico, faceva molto per aiutare le famiglie e noi bimbi a vivere momenti di ‘chiesa’. Aveva anche realizzato un oratorio per permettere tante attività. Tutto questo dava fastidio al partito che prevaleva nella mia zona, c’era una competizione, tra la parrocchia e la polisportiva. Dopo qualche anno, il parroco fu allontanato, tra la gente giravano voci, infondate, che era pedofilo e chiusero l’oratorio. Ero ormai adolescente e mi sentii abbandonato. Mi staccai dalla chiesa per approdare in polisportiva, dove ho vissuto in un clima anticlericale e libertino al quale mi sono presto adeguato. Per essere più libero e scaricare la mia esuberanza andavo allo stadio con gli ultrà, insomma con la chiesa avevo veramente chiuso.
Dopo qualche anno conobbi Annamaria, io non ci pensavo neanche più a Dio, invece Anna sentiva forte il rapporto con lui, andava a messa, e nonostante io l’amassi si era permessa di farmi notare che avere dei rapporti sessuali prima del matrimonio andava contro la sua coscienza e il suo credo religioso. Crebbe in me un sentimento di rancore nei confronti della chiesa e delle sue regole.
Questo creava conflitti tra di noi, dovevo fare una scelta radicale, o accettare Anna e Dio o perdere entrambi, la amavo troppo e optai per la prima soluzione.
Durante gli anni del fidanzamento abbiamo vissuto tante belle esperienze di chiesa, piano, piano ripresi a pregare e ad andare a messa. In parrocchia e in altri gruppi di spiritualità per giovani, studiavamo la Bibbia. Attraverso il servizio agli ammalati e anziani nell’UNITALSI, dei fanciulli nel catechismo e soprattutto nell’amore dell’Anna che mi riempiva e scaldava il cuore, trovai quell’esperienza viva di amore che diede un senso alla mia vita.
Maturai l’idea che era la persona giusta per completarmi e rendermi felice.Iniziammo un percorso con un sacerdote gesuita che ci aiutò a comprendere la nostra vocazione al matrimonio.
Annamaria.
Sono cresciuta in una famiglia cristiana, ricordo che da bimba vedevo il parroco buono e gentile, e la mia catechista era per me una vicinanza materna, ricordo la difficile ricerca spirituale di mia madre, che penso mi abbia influenzato a cercare di vivere un rapporto con Dio in modo personale.
Quando a 16 anni andai a studiare ad Urbino, lontana dalla famiglia mi sentivo sola e qualche volta mi rifugiavo in una chiesa silenziosa per pregare.
Quando ho conosciuto Luca, la sua lontananza dalla chiesa e da Dio era per me un’occasione di essere testimone e missionaria, annunciargli il vangelo e la gioia di essere cristiani, anche se Luca all’inizio non accoglieva questo messaggio e spesso entravamo in conflitto. Nonostante questo io percepivo la nostra storia come una chiamata dal Signore.
L’esperienza del pellegrinaggio a Lourdes aveva consolidato in me l’appartenenza alla chiesa anche come fidanzati. Mi sentivo coinvolta ed entusiasta di questa grande famiglia e del nostro progetto di vita insieme nel Matrimonio, nel giorno delle nozze era presente tutta la parrocchia a festeggiare con noi.
Mi sentivo però a disagio riguardo alla nostra vita sessuale, nella quale entravamo spesso in conflitto e che vedevo non rispettosa della mia fede e dell’appartenenza alla chiesa.
Dopo che ci siamo sposati, pieni d’amore e di gioia, abbiamo lasciato libertà al Signore di mandarci il nostro primo figlio nato dopo circa un anno, ero felicissimo di essere diventato papà.
Dopo la nascita del bimbo hanno iniziato a manifestarsi le prime incomprensioni. Siccome è nato col parto cesareo i medici ci hanno consigliato di non avere altri figli almeno prima di due anni, abbiamo iniziato il metodo Billings ma con grosse difficoltà nel seguirlo che incidevano sulla nostra relazione. Il nostro impegno fuori casa calò molto: con l’arrivo degli altri due figli e la mancanza di tempo, piano piano, abbiamo smesso di andare agli incontri di formazione e preghiera in parrocchia e nei gruppi sposi, avevo l’impressione che queste persone non mi comprendessero, mi sembrava che fossero impegnati a filosofeggiare e discutere sulla Parola, piuttosto che vivere e testimoniare come concretamente si poteva vivere secondo la Parola.
Crollò la preghiera, ma parallelamente crollò anche il mio rapporto d’intimità con Anna, non la vedevo più come la persona che Dio mi aveva donato, ma come un estranea che mi opprimeva. Nonostante questo, forse proprio per ‘fuggire da casa’, continuai a fare il catechista in parrocchia dove mi sentivo più libero che in casa.
In quel periodo ho conosciuto un altra donna, e senza che Anna lo sospettasse ho avuto rapporti con lei alcune volte, non provavo amore ma solo attrazione fisica, e questo sembrava compensare la carenza di rapporti con mia moglie, ma mi lasciava frustrato, e provavo profondi sensi di colpa.
Quando questa persona mi ha chiesto d’instaurare un rapporto più continuo, ho capito che voleva da me più di quanto fossi disposto a darle, e questo troncò la nostra relazione.
Il matrimonio mi appariva come un peso da portare avanti ma ci credevo ancora.
Lentamente siamo giunti ad essere separati in casa, parlavamo il meno possibile per non litigare e ognuno frequentava persone diverse nel suo tempo libero. Quando Anna mi ha detto che non mi amava più, mi sono sentito distrutto.
Nel Gennaio 2005 abbiamo litigato furiosamente, non ne potevo più di vivere sentendomi così oppresso, sono uscito di casa, e sono andato a vivere a casa di mia madre. Ero avvilito e pieno di rancore, e mi sembrava di aver perso vent’anni della mia vita.
Nel Gennaio 2005 abbiamo litigato furiosamente, non ne potevo più di vivere sentendomi così oppresso, sono uscito di casa, e sono andato a vivere a casa di mia madre. Ero avvilito e pieno di rancore, e mi sembrava di aver perso vent’anni della mia vita.
Nei primi anni di matrimonio, mi sentivo ansiosa e mi vedevo in colpa perché non riuscivamo a rispettare i metodi naturali, e cercavo nella preghiera l’aiuto di Dio, ma non cercavo altrettanto il dialogo con Luca su questo tema, convinta che la mia decisione di seguire questo metodo dovesse valere per entrambi.
Non mi preoccupavo dei suoi sentimenti, dei suoi bisogni quotidiani e delle sue aspettative.
A motivo della mia educazione morale e religiosa, mi ritenevo migliore di mio marito, e pensavo di doverlo ‘guidare’ ad una vita morale più sana di quella che lui aveva vissuto da ragazzo. Anche nell’educare i nostri figli e nel rapporto con le famiglie di origine vivevamo spesso conflitti, incomprensione e sofferenza. Molto spesso decidevo da sola il da farsi riguardo ai figli e alla casa, al mio lavoro e ai miei hobbies.
Il nostro rapporto si stava incrinando, ci furono diversi litigi non risolti che lasciarono ferite profonde, sfiducia e indifferenza tra di noi, e non mi rendevo conto della urgente necessità di perdonarci l’un l’altro, mi sentivo non ascoltata e non amata.
Cominciammo a chiedere aiuto a sacerdoti ed a psicologi… cercavamo qualcuno capace di farci ritrovare speranza ed unione fra noi, ma ricordo che da alcuni incontri, invece che ricevere ascolto e comprensione, ne uscii molto ferita e delusa e sempre più convinta di aver commesso un enorme sbaglio nello sposare Luca non provavo più amore per lui, solo rancore e disprezzo.
Nel punto più basso della nostra crisi di relazione mi sentivo morta dentro, chiusa, sola e disperata, e per non volere più soffrire mi imponevo di essere perfetta nel lavoro, nel gestire la casa, nell’educare i figli. Volevo essere autosufficiente, non avere più bisogno di nessuno, neanche di Dio.
Anche la chiesa era diventata per me un’insieme di persone troppo distanti dalla realtà che stavo vivendo, che preferivano tacere di fronte al mio dolore, o al massimo mi davano qualche consiglio paternalistico, oppure mi richiamavano al mio “dovere” di sposa e madre cristiana.
Ma io nel “dovere” mi sentivo come una tigre in gabbia, legata e rinchiusa in una relazione forzata, senza amore e nella quale non riconoscevo più me stessa.
Ho accolto la separazione da Luca con vero sollievo all’inizio, tuttavia mi sentivo instabile, e percepivo la gravità di quella ferita non solo per noi e per i nostri figli, ma anche per la parrocchia dove eravamo conosciuti come catechisti e animatori e dove quindi stavamo seminando scandalo.
Dov’era finito quel meraviglioso progetto di vita cristiana insieme, nel matrimonio, che con tanto entusiasmo avevamo iniziato? E perché Dio aveva permesso tutto questo?
Qualche mese dopo, eravamo ancora separati, nonostante ci fossimo incontrati qualche volta a casa del nostro parroco, quando una nostra amica ha passato ad Anna un volantino che presentava il percorso di Retrouvaille per coppie in difficoltà di relazione, ho accettato di partecipare, volevo ancora bene ad Anna e mi mancava la famiglia.
Durante il week-end di Retrouvaille grazie alla testimonianza delle coppie guida e al lavoro svolto in coppia, mi sono convinto che potevamo iniziare un dialogo nuovo. Anna si interessava di nuovo a me e mi sono sentito cercato e ascoltato.
Dialogando con lei capii che prima di allora non avevo fatto niente per comprendere i suoi sentimenti, le sue paure, e le sue aspettative, capire questo fece nascere in me un grande desiderio di riappacificarmi di chiederle perdono e ricominciare daccapo.
Piangemmo abbracciati chiedendoci perdono, dal mio cuore sgorgava tanta amarezza accumulata in anni di risentimento, che tuttavia si scioglieva come neve al sole.
In quel momento ho provato una gioia e un dolore indescrivibile, come se la donna che amavo e che ritenevo morta fosse tornata in vita. Questo è stato il primo passo per perdonarci, ma la via del perdono era ancora lunga. Dio che avevo abbandonato, trovò un varco nel mio cuore e mi si ripropose come un papà buono che mi amava e mi perdonava. Ora amo Annamaria come mai in passato.
L’esperienza del percorso di Retrouvaille è stata un punto cardine della mia vita, mi ha permesso di comprendere i sentimenti di Luca, i bisogni, le aspettative, e i nostri valori comuni. La pace e la gioia non furono né facili, né subito. È stato necessario un lungo cammino, in salita, lottando contro me stessa e il mio orgoglio, per andare incontro a Luca ed imparare accettare le sue diversità. E’ stato necessario riconoscere la mia parte di responsabilità, smettere di considerarmi una vittima, ma cercare di guardare le cose dal suo punto di vista, perdonarlo e chiedere perdono.
Ho trovato anche il coraggio, con l’aiuto di Dio, di perdonare me stessa ed ho ritrovato i sentimenti di amore e di attrazione per Luca che non provavo più da anni, l’intimità più profonda tra di noi, un modo sano per affrontare i conflitti, e per tornare a darci fiducia, rendendo più stabile il nostro matrimonio nel Signore.
Mentre imparavamo con fatica a ricostruire la nostra relazione di coppia, abbiamo anche imparato a relazionarci meglio con i figli, a dialogare con loro, a re-agire di meno di fronte alle difficoltà.
Negli anni della nostra crisi di relazione, i nostri figli hanno sofferto moltissimo, anche se non lo esprimevano direttamente a parole, ma con comportamenti difficili da capire e da guidare. Mi stupisco ora pensando ai loro sforzi di non ‘pesare’ sulla situazione già difficile della famiglia, con pretese personali, capricci, litigi tra loro o altro. Sembravano a volte già adulti, nei loro atteggiamenti di pazienza e sopportazione verso questi genitori incapaci di amarsi.
Ovviamente, poi, da veri bimbi e ragazzi, cercavano compensazione nella tv, nei giochi al computer, nello sport.
Questo periodo difficile li ha segnati, ma il Signore ha donato loro risorse speciali, e li ha aiutati a maturare nella sofferenza.
Il rapporto educativo con i figli era per noi uno dei settori di conflitto più sofferti, questo ci ha spinto a rivedere il modo di parlare a loro, di educarli. Ho imparato che non era troppo tardi, potevamo ricominciare ora, e soprattutto insieme come coppia di genitori, a dare loro dei momenti belli e formativi, dei ricordi positivi.
Mi sono sentito in colpa per le tante volte in cui ho scaricato addosso ai figli con gesti autoritari e poco ascolto, la rabbia e le frustrazioni che provavo nel nostro matrimonio. Questi miei comportamenti hanno creato in loro dei traumi, attraverso un lavoro di dialogo, di valorizzazione delle loro qualità, siamo riusciti a ricucire queste ferite di relazione.
Tra di noi ora c’è molto più ascolto e preghiera comune, abbiamo aiutato anche i figli a comprendere e ad accettare i loro sentimenti, ma abbiamo anche trasmesso loro che non si può vivere in balia di questi.
Sono diventati più sensibili e attenti ai problemi dei loro amici e se possono li aiutano volentieri. Nostro figlio maggiore, ad esempio, ci ha raccontato di come nel servizio in parrocchia, è riuscito a entrare in dialogo con un bambino molto scontroso a causa della separazione dei suoi genitori.
Sono convinto che se fossimo rimasti separati, sarebbe rimasto nei nostri figli un vuoto incolmabile e avrebbero dovuto cercare altrove il sostegno e l’esempio di essere famiglia, di cui hanno bisogno, ma avrebbero trovato comunque un surrogato. Vedere il papà e la mamma che si sono perdonati, e hanno ricominciato una nuova vita insieme, è servito molto di più, di tanti discorsi, per capire che perdonare è possibile e bello. Decidere di accettare la volontà di Dio con fede e speranza ha anche voluto dire accogliere con fede la lunga malattia e la morte dei miei genitori e la scoperta che nostro figlio a soli 22 anni si è ammalato di diabete. Ma anche queste circostanze ci hanno unito di più e abbiamo provato come il sostegno e la preghiera reciproca possano riportare pace e speranza nei nostri cuori.
Per noi è indispensabile trovare dei momenti da vivere in coppia, per essere uniti e in sintonia tra di noi, per proporre un percorso educativo nella fede che possa aiutarli a crescere come ragazzi equilibrati, liberi e sereni. Il nostro matrimonio è stata una precisa chiamata di Dio a costruire questa coppia, che è unica e irripetibile. Se pensiamo ai nostri figli, ci rendiamo meglio conto del perché noi siamo stati chiamati a fare questa coppia speciale. Altri possono dar loro amore, ma non sarà mai come l’amore del papà e della mamma. Come ci amiamo noi diventa anche il loro modello di riferimento di quello che è l’amore di coppia e di famiglia e l’amore di Dio.
Siamo chiamati a fare vedere col nostro impegno che amare è non mollare di fronte alle difficoltà, ma superarle anche nella sofferenza, perché con la fedeltà e l’aiuto di Dio si risorge rinnovati e più forti.
Se i figli e chi ci ama vedono che noi ci arrendiamo e rinunciamo alla relazione per paura della sofferenza, non faremo altro che entrare nel coro di coloro che ingannandoli gli cantano che l’amore è solo un sentimento e che, tutto sommato è meglio stare da soli.
Nel Signore, rispondendo alla Sua chiamata e col Suo sostegno, oggi ci impegniamo come sposi per aiutare altre coppie in difficoltà, sappiamo di avere una esperienza inestimabile da testimoniare, così come abbiamo sempre bisogno di ascoltare altri (sposi e sacerdoti) che si prendono cura di noi e di lasciarci mettere in discussione. Il nostro metterci a servizio in questo settore della pastorale familiare è iniziato da un bisogno nostro di crescere nella relazione, migliorare ancora e comprendere meglio il nostro matrimonio, e si è trasformato nell’accorgerci che non siamo noi a parlare, a testimoniare, ma è lo Spirito che ci guida, infatti: ‘Dio non chiama i capaci, ma rende capaci quelli che chiama’.
Ci ha scelti proprio per la nostra storia di miseria, per mostrare così ad altre coppie, quello che il Signore può fare con l’acqua sporca trasformandola in vino buono.
In questo servizio i nostri figli ci hanno visti impegnarci progressivamente sempre di più, non senza qualche lamentela, ma anche impegnandosi come baby-sitter e come testimoni e divulgatori che c’è una speranza anche per chi si separa e vive una sofferenza di famiglia che anch’essi hanno sperimentato.
La loro ricerca sincera e quotidiana di senso morale e spirituale, il leggere insieme il vangelo prima di cena, andare tutti insieme a Messa alla domenica e commentare poi l’omelia e qualche parola di Papa Francesco, sono tutti segni, per me, di una meravigliosa benedizione del Signore sulla nostra famiglia, per la quale Lo ringrazieremo tutti i giorni, consapevoli di non averne meritato neanche una virgola.
Così oggi viviamo il nostro sacramento del matrimonio e la nostra missione evangelizzatrice nella nostra famiglia, nella nostra chiesa e nella comunità.