Una primavera che avanza

Una primavera che avanza

San Francesco non me ne voglia, ma se fossi vissuta ai suoi tempi gli avrei suggerito una piccola aggiunta al suo bellissimo Cantico: lui loda “sorella nostra morte corporale” che ogni uomo incontra una sola volta nella vita … perché allora non lodare anche “sorella sofferenza” che non una, ma tante più volte bussa alla nostra porta?

Mi viene infatti da paragonare la morte ad un atleta: arriva veloce, inaspettata, ti prende e ti porta via una persona cara in un attimo, ma la sofferenza rimane: è come un cagnolino che resta accucciato alla porta delle tue giornate: con la zampa gratta e anche se tu non gli vuoi aprire lui trova sempre il modo per entrare e far sentire la sua scomoda presenza.

Nella vita, chi prima chi dopo, ci si imbatte sempre in questo ospite poco gradito, inaspettato, che arriva, irrompe nella tua esistenza e incomincia a cambiarla come se ne fosse il padrone, e tu allora capisci che la tua vita non sarà più come quella di prima.

Un altro paragone che mi viene in mente e che sento “mio” è quello di un tronco di albero a cui, poco per volta, sono stati potati tutti i rami fino a farlo restare completamente spoglio, un bastone ruvido e grezzo, all’apparenza senza vita.
Quante potature ha fatto il Signore nella mia vita, potature dolorose, cariche di tanti “perché” che restano senza risposta!

Nel giro di pochi anni infatti si sono succeduti prima la partenza per l’estero per lavoro di mio figlio, poi è morta mia mamma, poi è andata ad abitare lontano l’unica mia sorella, poi c’è stata la partenza per l’estero di mia figlia, poi la morte di mio marito, infine mi sono trovata senza lavoro perché, per potergli stare vicino e gestire meglio la situazione avevo fatto domanda di esodo anticipato.

Il calvario di mio marito è durato 3 anni, un lasso temporale lungo e brevissimo nello stesso tempo, costellato da 7 interventi chirurgici e innumerevoli ricoveri: eppure, nonostante questo penoso alternarsi di alti e bassi, ricadute e speranze, non ci si sente mai pronti al distacco, ti sembra impossibile che 38 anni di matrimonio possano finire, forse perché la speranza è sempre l’ultima a morire, per cui per te è sempre “troppo presto”.

Da allora sono passati 3 anni, nei quali ho sperimentato tutta la forza della fede, e la gioia nella consapevolezza che il Signore non abbandona mai, anche se talvolta lo si sente solo come uno spettatore silenzioso della nostra povera storia
La sofferenza mi è stata davvero compagna di viaggio e maestra di vita, mi ha imposto di fermarmi e pensare, mi ha cambiata dentro, non sono più quella “di prima”; come spesso dico a me stessa la sofferenza è esigente perché ti prende e non ti lascia finché non l’hai accettata: ho capito ben presto, con l’aiuto del mio direttore spirituale, che solo se l’accoglievo nella fede e nella speranza ci potevo convivere con serenità, altrimenti sarebbe arrivata a schiacciarmi.

Non è stato facile trovare un equilibrio, ricostruirsi una nuova vita, sapevo però che chi non combatte ha già perso in partenza: spesso mi sentivo come quei cagnolini che dopo essersi bagnati scuotono il pelo per gettare via l’acqua lontano da sé … perché umanamente parlando il dolore non lo volevo proprio nella mia vita, non lo volevo su di me! Però poco per volta ho imparato, e sto imparando anche adesso quando fa la sua comparsa nonostante i 3 anni trascorsi, a non fare resistenza al dolore: lo accolgo, lo offro, e aspetto che passi, perché so che la vita è un alternarsi di notte e di giorni, di tenebre e di luce, ma per fede so anche che non c’è notte potente che possa impedire alla luce di penetrare perché prima o poi l’alba arriva sempre.

La malinconia e la tristezza fanno talvolta capolino anche adesso, i ricordi sono tanti, e a

volte il silenzio che mi circonda in casa mi sembra opprimente: ho imparato a lasciare che questi sentimenti riaffiorino senza però farmi travolgere da essi….li lascio entrare nella mia vita, perché la mia famiglia, se anche non è più quella di prima, fa comunque parte di me, è una eredità che ho costruito giorno dopo giorno con mio marito, fra alti e bassi, gioie e dolori, un dono grande del Signore. Lascio che questi ricordi arrivino, ma quando sento che vogliono nuovamente imporsi e ferirmi come se non fossero passati 3 anni ma solo poche ore, allora, mentalmente, faccio violenza su me stessa, e per farli uscire dalla mia mente immagino di relegarli dietro una porta che poi chiudo.

In questi anni di prova e di sofferenza mi sono trovata a pensare tante volte alla Madonna, forse perché mons. Cocchi, un meraviglioso Vescovo che ho avuto la grazia di conoscere e frequentare, mi diceva sempre: “quando hai dei problemi parla con la Madonna perchè fra voi donne vi capite meglio!”: quante volte mi sono chiesta cosa aveva provato quando Lei era rimasta vedova, o quando suo Figlio aveva lasciato la casa di Nazareth per iniziare la sua vita pubblica e si era trovata sola; questa “comunanza di esperienza” (Maria Santissima mi perdonerà se mi esprimo in questi termini!) non mi ha tolto l’esperienza del dolore e della solitudine me la faceva sentire così vicina! E quanta forza sento di aver ricevuto da Lei!

Subito dopo la morte di mio marito ho capito che solo con l’aiuto del Signore avrei potuto superare tutto questo e ricominciare da capo, così sono andata a trascorrere un lungo periodo
nel monastero benedettino di Montefiascone, vicino a Viterbo: lì ho lasciato che fosse il Signore a prendersi cura di me, che l’intenso clima di silenzio e preghiera e la carità delle monache lenissero le mie ferite: dentro quelle mura antiche e imponenti ho davvero sperimentato il caldo abbraccio di una nuova famiglia che faceva cerchio attorno a me per comunicarmi l’affetto di cui avevo fortemente bisogno; ho ricevuto non una ma tante spalle su cui piangere, ho condiviso i loro momenti di preghiera nel coro della clausura, ho ritrovato un timido sorriso nelle attività dove mi hanno coinvolto come se facessi parte della loro comunità, e nel lavoro manuale (che alle benedettine non manca mai!) della vendemmia.

Essendo da anni Ministro Straordinario della Comunione Eucaristica al Policlinico, al mio rientro ho ripreso a portare la Comunione agli ammalati, un ministero, però, che ora vivevo in maniera differente. Sentivo di avere “qualcosa in più” che potevo donare loro: una vicinanza che non era più solo fisica, ma molto più profonda, una condivisione silenziosa di timore, sofferenza, paura, gioia, speranza, angoscia per il futuro, smarrimento, solitudine e tanto altro. E se prima della morte di mio marito questo ministero per me era sempre e solo stato fonte di gioia, ora era segnato anche dalla croce: mi sono trovata a ripercorrere quei corridoi che tante volte avevo percorso assieme a lui, ad entrare in quelle stanze di degenza dove lui era stato ricoverato, a portare la Comunione a malati che erano nello stesso letto dove lui poco tempo prima era morto, tenendomi la mano, risvegliando ricordi sempre troppo freschi e dolorosi.

Poco per volta, con l’aiuto del mio direttore spirituale, si è fatta strada in me la consapevolezza che dovevo smettere di vivere nel passato riavvolgendo mentalmente di continuo il nastro della mia vita senza guardare avanti, e che dovevo imparare a vivere la nuova vita che il Signore mi aveva donato, una vita tutta da costruire giorno dopo giorno assieme a Lui, perché se anche ero rimasta un tronco grezzo e nudo, senza rami né foglie, ugualmente le radici erano ben radicate in Dio, occorreva solo pazientare e innaffiarle con tanta preghiera.

E’ iniziato così a casa, su computer, lo studio della Lis, la lingua dei segni che mi ha avvicinato al mondo dei sordomuti, e da lì nel giro di pochi mesi, ha preso corpo l’impegno di volontariato a Carpi presso l’Istituto Figlie della Divina Provvidenza, dove la gioia che solo i bimbi ti possono dare ha in breve tempo spazzato via tanta polvere di malinconia e tristezza dalla mia vita e ha riportato il sorriso e la gioia.

Come si può provare gioia quando dentro a volte si soffre ancora?
Secondo me la “gioia” nasce dalla “pace”: certamente quando c’è la sofferenza non si può gioire, ma essere in pace sì, perché la fede ti permette di dire che sei nel progetto di Dio, sai che è Lui che vive in te la tua stessa sofferenza, che di Lui ti puoi fidare, che non devi temere il futuro perché se anche tu sei sola e ti fa paura perché non lo conosci, Lui l’ha già sotto il Suo sguardo d’amore …..So che è Lui che si sta prendendo cura dei miei figli, molto più di quanto non possa fare io vivendo lontano da loro; so che dal cielo il loro papà li sta seguendo con amore, molto meglio di quanto non avrebbe avuto la possibilità di farlo qui in terra; so che la mia famiglia non è scomparsa, è ancora tutta viva, presente sotto lo sguardo attento di Dio…diciamo che è solo “sparsa”, un po’ nel mondo terreno un po’ in quello celeste, ma non per questo è meno unita nel Suo amore. C’è chi è già arrivato al traguardo, chi, più giovane, sta costruendo il proprio futuro e ancora chi, come me, si sforza di raggiungere questo traguardo come può … E quanta pace in tutta questa consapevolezza, e con la pace anche la gioia interiore di avere un Dio che ha fortemente nelle Sue mani la mia situazione e la sta portando verso traguardi di luce!

In questo cammino della nuova vita che sto percorrendo ho sempre maggior consapevolezza che nulla capita per caso: ogni incontro, ogni nuova amicizia, ogni avvenimento sento che rientra nel piano misterioso di Dio, nasconde un fine di salvezza di cui spesso non ne siamo consapevoli, sta a noi cercare di leggere fra le righe e tirare le somme. Così un giorno è arrivato, inaspettato, l’invito a partecipare agli incontri del gruppo Credo, una realtà diocesana di cui avevo solo sentito parlare: ho ritrovato qui amici di vecchia data e ne ho conosciuti di nuovi, ho sentito storie di dolore lancinante ma anche di rinascita e di fede forte: sappiate che tutti porto ogni giorno nelle mie preghiere perché se la condivisione delle nostre comuni dolorose esperienze ci unisce, il tenersi per mano nelle difficoltà e la preghiera ci sostiene reciprocamente.

E se la vita ci ha segnato lacerando le nostre famiglie, non dimentichiamoci mai che la fede ci dona la grazia di sentirci di nuovo tutti uniti, anche se “sparsi” un po’ nel mondo terreno e un po’ in quello celeste, e non dimentichiamoci che la speranza è la luce che ci accompagna nella vita che faticosamente stiamo tutti percorrendo e che la carità ci permette di cementare ogni distacco, perché l’amore può tutto perché è da Dio.

L.

Incontro di martedì 28/01/2020 Centro Famiglia di Nazareth

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